Università italiane in caduta libera, università cinesi in ascesa: il Belpaese tra tagli e ritardi tecnologici

Le università italiane stanno perdendo terreno nelle classifiche mondiali, mentre quelle cinesi volano grazie a investimenti massicci e strategie mirate. Tagli ai finanziamenti e carenza di competenze in AI tra i docenti mettono a rischio il futuro della nostra ricerca e formazione.

Università italiane in caduta libera, università cinesi in ascesa: il Belpaese tra tagli e ritardi tecnologici
Photo by Manu Ros / Unsplash

Negli ultimi anni il sistema universitario italiano sta vivendo una vera e propria crisi di competitività a livello globale. La classifica 2025 del Center for World University Rankings (CWUR) parla chiaro: su 66 atenei italiani presenti nella prestigiosa graduatoria globale, ben 53 università hanno perso posizioni rispetto all’anno precedente, mentre solo 10 sono riuscite a migliorare e 3 a mantenere la propria posizione. Un dato allarmante che conferma come l’80% degli atenei italiani sia in discesa, a fronte di una crescita quasi inarrestabile delle università cinesi, che con investimenti pubblici massicci e strategie mirate stanno conquistando il mondo accademico.

La top italiana in declino
A guidare la classifica italiana è ancora una volta l’Università La Sapienza di Roma, che però scende di una posizione attestandosi al 125° posto mondiale. Seguono università storiche e prestigiose come Padova (178°, -5 posizioni), Milano (191°, -5), Bologna (204°), Torino (242°), Napoli Federico II (243°), Firenze (274°), Genova (286°), Pisa (288°) e Pavia (327°). L’Università di Perugia, simbolo di un calo silenzioso ma costante, ha perso ben 90 posizioni in dieci anni, scivolando dal 344° al 434° posto mondiale, con un arretramento di 47 posizioni solo negli ultimi quattro anni.

Il tallone d’Achille: la ricerca
Il principale motivo di questo declino è la performance nella ricerca, che pesa per il 40% nella metodologia CWUR. Solo 14 università italiane migliorano in questo ambito, mentre 52 registrano un peggioramento. La qualità dell’istruzione, l’occupabilità dei laureati e la qualità del corpo docente, pur importanti, non riescono a compensare la carenza di risultati nella ricerca scientifica.

Tagli ai finanziamenti e mancanza di strategia
Dietro a questa crisi c’è un quadro di sottofinanziamento cronico: l’Italia investe solo l’1,5% della spesa pubblica nell’università, con tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) che nel 2024 hanno raggiunto i 500 milioni di euro e si prevede supereranno il miliardo nei prossimi anni. Nonostante un aumento del FFO a 9,3 miliardi nel 2025, la cifra resta inferiore a quanto previsto dalla legge del 2022, con un taglio complessivo di oltre 600 milioni in due anni, senza considerare inflazione e adeguamenti stipendiali.

Questi tagli si traducono in riduzioni di servizi, aumento delle tasse universitarie, chiusura di corsi e linee di ricerca, riduzione delle borse di dottorato e licenziamenti di personale esternalizzato. Anche la Conferenza dei Rettori conferma la difficoltà a finanziare adeguatamente il reclutamento di ricercatori a tempo determinato. Gli studenti denunciano che i fondi stanziati non coprono i costi reali, con il rischio concreto di perdere finanziamenti europei per infrastrutture fondamentali come posti letto e laboratori.

La Cina vola, gli USA rallentano
Nel frattempo, la Cina continua a investire in modo massiccio nella ricerca e nell’istruzione superiore, con una spesa stimata intorno ai 400 miliardi di euro annui, pari al 2,09% del PIL. Questo ha permesso alle università cinesi di scalare rapidamente le classifiche mondiali: la Tsinghua University è al 37° posto, e tutte le università della C9 League hanno migliorato le proprie performance, superando per la prima volta gli Stati Uniti nel numero di atenei presenti nella classifica globale.

Gli USA, pur restando forti, mostrano segni di cedimento a causa di tagli federali ai finanziamenti e controversie interne sulla libertà accademica, mentre l’Italia rischia di rimanere indietro senza una pianificazione strategica e investimenti adeguati.

Il gap tecnologico e la sfida dell’AI
A peggiorare il quadro c’è la certificata carenza di competenze in intelligenza artificiale tra docenti e professori italiani, che limita la capacità degli atenei di innovare e competere a livello internazionale. La scarsità di investimenti nella formazione e nella ricerca tecnologica penalizza la qualità dell’offerta formativa e la capacità di attrarre talenti e risorse, lasciando l’Italia indietro in uno dei settori più strategici per il futuro.


E se investissimo quanto la Cina?

Se l’Italia destinasse alla ricerca e innovazione risorse comparabili a quelle cinesi, il panorama accademico potrebbe trasformarsi radicalmente. Potremmo vedere la nascita di centri di eccellenza, attrazione di ricercatori internazionali, sviluppo di infrastrutture all’avanguardia e un salto di qualità nella formazione in AI e tecnologie emergenti. Il sistema universitario italiano potrebbe diventare un motore di crescita economica e innovazione, capace di competere con i migliori atenei del mondo e offrire ai giovani opportunità di studio e carriera all’altezza delle sfide globali.


In sintesi, il declino degli atenei italiani è il risultato di un mix pericoloso tra tagli finanziari, mancanza di visione strategica e ritardi tecnologici. Nel frattempo, la Cina vola e gli Stati Uniti rallentano. Per non perdere definitivamente il treno dell’innovazione, l’Italia deve investire con decisione in ricerca, formazione e infrastrutture, valorizzando il suo straordinario patrimonio culturale e scientifico.

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