L’ipocrisia dei pesticidi: come la UE tradisce consumatori e agricoltori per i profitti delle multinazionali

Arriva nei supermercati italiani l'uva indiana, fresca di 2 mesi, con 7.000 Km di viaggio in nave sulle spalle e oggetto di possibile impiego di fitofarmaci molto pericolosi, vietati nella UE.

L’ipocrisia dei pesticidi: come la UE tradisce consumatori e agricoltori per i profitti delle multinazionali
Photo by Kier in Sight Archives / Unsplash

L’Unione Europea ama presentarsi come il baluardo della sicurezza alimentare mondiale. Le sue normative sono tra le più avanzate, i controlli rigorosi, le soglie di residui tra le più basse al mondo. Eppure, dietro questa facciata di eccellenza si nasconde una delle più grandi incoerenze del nostro tempo, che mette a rischio la salute dei consumatori, danneggia gli agricoltori europei e arricchisce le casse delle multinazionali dell’agrochimica.

Regole ferree… solo per chi produce in Europa

In Europa, la lista dei fitofarmaci vietati si allunga ogni anno, sulla base di studi scientifici che ne dimostrano la pericolosità per salute e ambiente. Atrazina, paraquat, clorpirifos, neonicotinoidi: sono solo alcuni dei principi attivi banditi per sempre dai nostri campi perché cancerogeni, neurotossici, dannosi per le api e per la biodiversità. Gli agricoltori europei, spesso a caro prezzo, si sono adeguati: hanno cambiato pratiche, investito in tecnologie, accettato rese più basse pur di rispettare la legge.

Ma questa tutela, che dovrebbe essere un vanto, si trasforma in una beffa quando si guarda cosa accade fuori dai confini UE.

L’invasione silenziosa dei prodotti trattati con pesticidi vietati

Nei supermercati italiani, e in tutta Europa, compaiono sempre più spesso frutta e verdura provenienti da paesi dove le regole sono molto meno stringenti. Un esempio clamoroso è l’uva indiana, che arriva sui nostri scaffali in primavera, ben prima della stagione dell’uva italiana, per soddisfare la richiesta di consumatori impazienti. Ma quell’uva, così come molti altri prodotti importati, può essere trattata con pesticidi vietati nei nostri campi: fitofarmaci che in Europa non possono più essere usati da anni perché considerati troppo pericolosi.

Il paradosso è evidente: ciò che non possiamo più produrre qui, lo importiamo senza problemi, a patto che i residui non superino certe soglie. Ma i controlli sono a campione, le maglie larghe, e la coerenza delle nostre regole va in frantumi.

Chi ci guadagna? Le multinazionali dell’agrochimica

A trarre vantaggio da questa situazione sono soprattutto le grandi aziende chimico-farmaceutiche: Bayer, BASF, Syngenta (ora ChemChina), Corteva, FMC, Sumitomo. Questi colossi, spesso con sede proprio in Europa, continuano a produrre e vendere all’estero quei pesticidi che qui sono vietati. Il business è miliardario: secondo dati ufficiali, il 75% dei pesticidi vietati in UE viene esportato verso paesi a basso reddito come Brasile, India, Kenya, Sudafrica, ma anche verso Russia, Ucraina, Argentina, Messico, Vietnam, Marocco, Senegal, Ghana e altri.

Non solo: alcune aziende italiane come Finchimica e Sipcam Oxon sono state coinvolte nell’export di sostanze come trifluralin, ethalfluralin e atrazina, vietate in UE ma ancora largamente usate altrove.

Un commercio globale distorto

Questa pratica ha effetti devastanti sul commercio agricolo globale:

Competizione sleale: I produttori extra-UE possono utilizzare pesticidi più efficaci e meno costosi, ottenendo raccolti più abbondanti e prezzi più bassi. Gli agricoltori europei, invece, sono penalizzati due volte: devono rispettare regole severe e subiscono la concorrenza di prodotti trattati con sostanze che a loro sono vietate.

Ritorno dei residui: I pesticidi vietati possono rientrare in Europa come residui nei prodotti importati, esponendo i consumatori a rischi che la normativa interna vorrebbe evitare.

Danni ambientali e sanitari nei paesi destinatari: L’uso di pesticidi vietati nei paesi importatori causa gravi danni alla salute delle popolazioni locali, all’ambiente e mina lo sviluppo di pratiche agricole sostenibili.

Ostacolo all’agroecologia: L’esportazione di pesticidi vietati scoraggia la transizione globale verso modelli agricoli più sostenibili e perpetua la dipendenza da sostanze chimiche pericolose.

Il doppio standard della UE: una tutela solo di facciata

L’Unione Europea, con questa doppia morale, tradisce sia i suoi cittadini che i suoi agricoltori. Da un lato si erge a paladina della sicurezza alimentare e della sostenibilità, dall’altro permette che le sue stesse aziende esportino veleni in paesi meno protetti, per poi reimportarli sulle tavole europee sotto forma di residui nei prodotti agricoli.

Il tutto in nome del profitto di pochi, a scapito della salute di molti e della credibilità delle istituzioni.

Una scelta che parte dal carrello

La soluzione non può essere solo normativa, ma deve coinvolgere anche la consapevolezza dei consumatori. Scegliere prodotti di stagione, di filiera corta, italiani o europei, è oggi un atto di responsabilità. È il modo più efficace per premiare chi rispetta le regole e per difendere la nostra salute e il nostro ambiente.

Ma serve anche un cambio di rotta politico: l’Europa deve vietare non solo l’uso, ma anche la produzione e l’export di pesticidi vietati, come già chiedono molte organizzazioni internazionali e come già avviene per altre sostanze pericolose (come le armi chimiche).

Solo così si potrà parlare davvero di sicurezza alimentare e di tutela dei consumatori e degli agricoltori europei.

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